Sole 24 Ore
8 Novembre 2006
Norme e Tributi
Pagina 31
Fisco & Criminalità
Imposte anche sull’illecito
Le discussioni accademiche sulla liceità della tassazione di proventi illeciti ha sempre suscitato, immagino non solo nello scrivente, grande curiosità.
Ricordo ancora l’eco che ebbe, anni or sono, l’indagine della Guardia di Finanza sui proventi (presunti) derivanti dall’esercizio della professione, da parte di una avvenente signora, senza che la stessa avesse mai aperto la partita Iva, fors’anche per difficoltà nell’individuare l’esatto codice attività (altri servizi n.c.a.?), senza aver mai presentato le doverose dichiarazioni dei redditi.
L’articolo del Sole 24 Ore dell’8 Novembre, a firma Melis Valentina, se ha da un lato rinfocolato la curiosità ha dall’altro sollevato numerosi dubbi di natura tecnico giuridica.
Sgombriamo preliminarmente il campo dalla presunta applicabilità dell’Iva, cioè di tributi “indiretti”, alla fattispecie di cui trattasi, sottrazione di denaro: stante la classificazione reddituale di “proventi occasionali” che com’è noto non sono soggetti ad Iva per mancanza del presupposto della professionalità, intesa come attività prevalente (sotto il profilo dell’impegno personale e del reddito) e continuativa (l’attività di sottrazione del denaro dura, solitamente, pochi minuti). Inoltre, alla luce della lettura di costante giurisprudenza in materia, non vi sarebbe possibilità di rivalsa divenendo l’imprenditore (va da sè criminale) “inciso” dall’imposta, contro la logica della legge.
Un primo dubbio che suscita la lettura è di carattere temporale. Riferisce l’articolo che il fatto delittuoso, se non ho interpretato male, è dell’agosto ultimo scorso.
Riassumendo: il portavalori sottrae 1,2 milioni di euro e fugge in Thailandia, smarrendo per strada parte del malloppo, circa 500.000 euro. Puntuale la G.d.F. redige verbale per l’ammontare residuo, euro 730.000, qualificabile come “reddito diverso”, non dichiarato. Ma se il denaro truffaldinamente asportato in agosto è reddito, è reddito 2006. I termini per la presentazione della dichiarazione del 2006 non sono ancora scaduti, anzi. Pertanto il furfante a fronte del verbale potrebbe trovare un coscienzioso professionista che predisponga adeguatamente il quadro “L” del prossimo modello Unico, dal quale scaturirà un debito d’imposta, per sola IRPEF, di euro 235.000 circa. L’IRAP non si ritiene sia dovuta per carenza dei presupposti oggettivi (organizzazione d’impresa) mentre si potrebbe forse obiettare sulla necessità d’iscrizione alla gestione separata INPS, aliquota 15% essendo la guardia giurata infedele già iscritta ad altra gestione previdenziale quale dipendente. Circa l’eventuale debenza anche dell’acconto, pari a circa 180.000 euro, ci schieriamo apertamente con coloro i quali sostengono che lo stesso non sia dovuto qualora il soggetto sia recluso o residente, anche causa latitanza, all’estero per la maggior parte dell’anno, nel qual caso dovrebbero trovare applicazione le convenzioni internazionali, qualora esistenti, sempreché il fuggitivo abbia provveduto all’iscrizione all’A.I.R.E. Ed a proposito di quadro “L” si desidera segnalare che sarebbe più opportuno che venisse creato un apposito rigo, tipo “redditi occasionali da attività illecite” al fine di non confondere lavori leciti con lavori che leciti non lo sono.
Sempre ragionando sulla questione è fuor di dubbio che l’ineccepibile meccanismo sopra descritto può trovare applicazione qualora il malvivente agisca singolarmente. Ma se dovesse aver avuto un complice?
In questo caso si tratterebbe non più di reddito diverso ma, ovviamente, di reddito da partecipazione in società di fatto, sempreché il complice, e letteratura criminale insegna, non sia il coniuge. In quest’ultimo caso verteremmo infatti in una azienda coniugale, escluso senza meno che i due malavitosi abbiano perfezionato un atto d’impresa familiare innanzi ad un notaio.
La diversa classificazione reddituale della prima fattispecie complica un pochino le cose, dal punto di vista formale. Premesso che la società di fatto non è soggetto IRES e che quindi risponde solamente per quanto riguarda l’IRAP, è da verificarsi se tale tributo sia applicabile. Consolidata giurisprudenza ritiene, ad esempio, che se anche gli automezzi utilizzati per il colpo risultino rubati non di meno possa considerarsi esistente una organizzazione d’impresa, detta appunto, “impresa criminale”. Si ricorda, ma solo di sfuggita, che se l’impresa criminale opera nel settore edile si rendono applicabili anche le recenti disposizioni del decreto “Bersani” in ordine a subappalti ed identificabilità dei lavoratori sui cantieri, pena sanzioni pecuniarie senza dubbio evitabili con un pò di attenzione. Come si diceva, prima di questa disgressione, consolidata giurisprudenza ritiene che le imprese criminali (minimo 2 persone) producano redditi attratti all’IRAP. Pertanto sarà cura, in primis del Questore, contestare e far sottoscrivere apposito verbale al soggetto che venga indicato dagli altri quale capobanda (facente funzioni di amministratore o legale rappresentante), in mancanza dal soggetto che abbia la fedina penale maggiormente dimostrativa di capacità in tal senso. In caso di ulteriore parità la responsabilità di firma, non quella patrimoniale che, come è noto nelle società di persone è solidale, spetta al più anziano, ancorché analfabeta. In seconda battuta toccherà al Gip, qualora venga convalidato il fermo, disporre affinché ai membri della banda venga recapitato, nel luogo di detenzione, l’apposito prospetto di riparto dei redditi da attività criminale, mentre sarà responsabilità del Giudice Istruttore la redazione e l’invio del modello Unico Sp (ex 750).
Il prospetto di riparto, che dovrà comunque essere redatto in conformità a quello approvato dal Ministro delle Finanze, dovrà evidenziare i redditi spettanti ad ogni partecipante in base all’effettiva opera prestata nell’impresa a seconda delle mansioni realmente svolte (palo, autista, killer, ecc). Il tanto al fine di consentire ai partecipanti a dette imprese, di solito poco stabili, di poter dichiarare tutti i redditi derivanti da attività criminose nell’esercizio, così da poter saldare il proprio debito nei confronti dell’Erario, prima ancora che con la Giustizia ordinaria.
Si consiglia di prestare molta attenzione all’esatta trascrizione del codice fiscale del soggetto interessato all’attribuzione del reddito da partecipazione, con particolare riferimento a quegli individui dotati di numerosi “alias” che potrebbero inficiare il controllo incrociato informatico dei quadri “H” (redditi da partecipazione) da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
Infine, è insindacabile che, una volta saldati i debiti con l’Erario, il reddito residuo possa essere considerato nel pacifico possesso di colui che lo ha prodotto.
O no?