Il mio nome è Alois Parkinson e sono, in questa mia ultima fase dell’esistenza, un boia. Così almeno si definisce colui al quale è demandato il compito di determinare la fine della vita terrena di chi una giustizia ha ritenuto non essere più, da subito, meritevole, utile, di appartenere al convivio umano.
Al termine della breve ma molto, molto, sanguinosa battaglia tra opposte generazioni, nella primavera del 2052 o 2053, non ricordo bene, nel nord-est di quella che allora si chiamava penisola italica, mi venne affidato l’incarico di provvedere alla pratica relativa a tale Brenno Alzhaimer. Ricordo ancora che rimasi alquanto stupito dalla consegna. Brenno? Un nome d’arte. Era uno di quegli artisti fighetti che nella decadenza dell’America post-nucleare firmava le felpe del colosso della moda Polan & co, dopo la liquidazione di Doompy. Alzhaimer? Era da settimane in testa alle classifiche della Koosmusic con il suo “Kill serà serà”. Musica dais, non male. Lo avevamo tutti nelle cuffiette. Sembrava proprio una beffa, uno scherzo, una sterzata improvvisa e inclinazione del destino. Invece quando mi condussero dal giustiziando vidi che era solo un vecchio, seppur ancora irto, dalle labbra screpolate che lasciavano colare denso sangue scuro, con l’occhio destro chiuso da un ematoma e completamente sordo, ma avvolto in una incongruente et insolita fragranza di lavanda.
Avrei dovuto scannarlo, il giorno dopo. Lo guardai con la stessa compassione che ha il commensale prima di affrontare l’aragosta. Dallo spioncino lo vidi disporre con cura tutte le sue colorate preziose pillole salvavita sulla mensola sotto la finestra della cella, in ordine di assunzione oraria. Assunse la prima, quella dell’orinamento, che condusse in porto, ed è un eufemismo, visti i liquidi che produsse e disperse abbondantemente e disordinatamente; poi quella del primo sonno senza incubi. Attesi un istante, dietro la pesante porta serrata. Sentendolo respirare regolarmente, pesantemente, indi dormiente, incurante del tanfo dolciastro delle carni, entrai e gli sottrassi il kit vitale. Facevo così, ultimamente per giustiziare i destinati, la mia mano non era più ferma come un tempo, un lieve tremolio, incontrollato & incontrollabile se n’era impossessato. Prima di andarmene, sollevato, vidi & lessi la patetica lettera di rimorsi che aveva scritto ad una chiaramente defunta nipote. La raccolsi e l’affidai, chissà perché mi vennero in mente i Police – message in the bottle - ad un brufoloso, giovine quindi traditore, insignificante krucco col grado di tenente in partenza per Madrid, tale Silber, così mi dissero si chiamasse. “Consegnala al Mercado de San Fernando de Lavapiés Calle Embajadores 41. Alla cajera.”Ordinai. E così egli fece. Dopo qualche tempo la cajera vuotò i cassetti e gettò la lettera nel recupero della carta. Fine.
Seppi solo molto tempo dopo che l’infelice si vantò, lo scrive un libro, di aver evitato l’intervento del boia grazie alla sua previgente non ingestione dei farmaci salva vita. Conducami o con Duce, o Conducador, vuol sempre dire guidami, portami e infatti tutti quelli che si affidarono alle mie cure ne ebbero adeguato sollievo.
Seppi solo molto tempo dopo che il suo vero nome era Michael Greenhouse, amante delle portulache, che possono avere un portamento eretto o, appunto, prostato. Abitava una amaca.
Ma questa è solo l’introduzione, una piccola porta, una portulaca, tanto per inquadrare la questione. Ora parleremo degli schienati.