In qualità di esperto in materie a carattere tributario mi è stata sollevata recentemente una particolare questione la quale, pur nella sua gretta proposizione merita d’essere considerata per la complessità d’aspetti che, viceversa, contempla.
Utilizzando un’espressione volgare, figlia di questi tempi, e tuttavia di sintesi estrema, il concetto viene esplicitato dalla frase “fare l’omosessuale con il culo degli altri”.
Con così imponenti colonne portanti, filosofiche e spirituali, viene costruita la nuova fase dell’evasione fiscale, quella che punta al “reverse charge” del sentimento evasivo o elusorio che dir si voglia.
Questa nuova alba della sottrazione di denari dovuti alle esangui casse dell’Erario, ha tuttavia un attimo giuridico fatale nell’esercizio del diritto sancito dal libero arbitrio, riconosciuto anche, non meno che ad altri, all’evasore fiscale. Anzi. E’ proprio quando il probo contribuente trascende le proprie responsabilità solidali/collettive, estrinsecabili nel versamento solidaristico dell’obolo dovuto alla soddisfazione della pubblica mutualità che egli, vieppiù veste i panni dell’evasore, maggiormente si appropria ed avvale del diritto riconosciutogli di esercitare il proprio libero arbitrio il quale si riflette, ineluttabilmente, nella scelta: evadere/non evadere.
La scelta negativa comporta esborsi finanziari, negatività umorali, ulteriori rateazioni ma fronte alta e disponibilità a ricevere sommessi plausi autopromossi.
La scelta positiva scatena invece scintillanti divertimenti modaioli, compulsivo shopping, soddisfacimento di sguaiate pulsioni represse non assecondabili: il tutto assistito da un filo fastidioso, ma lontano, di morale rimprovero, persistente come un sapore amaro sul palato, come una macchia sul vestito nuovo nel giorno della festa.
Con il nuovo concetto di reverse/evasione tutto cambia, come diceva il Tomasi di Lampedusa.
Nel vecchio sistema il giochino funzionava così: il negoziante vendeva un prodotto e, all’atto dell’incasso della volgar pecunia, esercitava il proprio libero arbitrio in materia di probità fiscale iscrivendo la cifra riscossa nei libri contabili o trattenendola nelle proprie personali disponibilità. Nell’innovativo sistema, invece, quello del reverse charge dell’evasione è l’acquirente che esercita il diritto, quello che prima stava in capo al negoziante. Il cliente, sostanzialmente, all’atto dell’acquisto di un capo, chessò di vestiario, si rivolge alla commessa dicendole “questo cappotto mi interessa, purtuttavia il prezzo è sconsideratamente elevato considerate le mie disponibilità finanziarie. Quindi facciamo così: non emettendo alcuno scontrino per la vendita, togliamo l’Iva, 22%, togliamo le tasse che il Suo negozio non pagherà (27,5%+3,9%) non avendo venduto nulla, quindi ipotizzando un ricarico del 100% le verso il 69,10% della cifra scritta sul cartellino, così in contanti, due belle banconote violette da 500 euro e via...”.
Ora, tra gli storici più anziani, v’è ancora chi sostiene che l’Impero Romano si sia estinto per la fragilità delle proprie frontiere, chi invece avvalora la tesi dell’avvelenamento da piombo della classe dirigente e chi, come lo scrivente, sostiene che la causa fu invece la cera. Si, la cera, quella cera d’api con la quale erano cancellabilmente scritti i registri contabili dei commercianti.
D’altra parte, secoli dopo, siamo ancora a scegliere se stare dalla parte di chi sostiene sia meglio “frangar non flectar” (spezzarsi ma non piegarsi) o non piuttosto “flectar non frangar” (il contrario) fingendo, ipocritamente, si discerna di giunchi, piante erbacee palustri e non di vite umane.