Ho seguito una trasmissione televisiva con i comment/attori D'Amico e Mauro e le controparti Berretta e Tommasi.
Ad un certo punto il giornalista Sig.Sconcerti sembrava aver individuato l'anomalia: sono gli scioperanti dei dipendenti o dei professionisti? Né il fariseo Berretta né il candido Tommasi hanno saputo/voluto rispondere, poiché è qui il nocciolo del problema.
Partiamo da un fatto: l’Accordo Collettivo (AC) dei Calciatori Professionisti Italiani. Tanto per cominciare non è un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, come per ogni altra categoria di lavoratori dipendenti. E' un Accordo. Collettivo. Un Accordo Collettivo l'hanno anche gli Agenti e Rappresentanti di commercio i quali però sono lavoratori autonomi, non dipendenti, emettono fatture, sostengono costi, sono soggetti a ritenute a titolo di acconto e pagano di tasca loro il saldo delle imposte, anche quando dovesse chiamarsi “contributo di solidarietà”.
Invece quello di cui si discute è’ il “contratto” che hanno sottoscritto i lavoratori del calcio, dipendenti di società affiliate alla Lega Nazionale Professionisti (LNP) per il tramite dell’unica sigla sindacale attualmente esistente, l’Associazione Italiana Calciatori (AIC) e la Lega, in rappresentanza della parte datoriale.
La Federazione Italiana Giuoco Calcio è parte non coinvolta nella stipula non essendo parte negoziale ma semplice terzo interessato alla positiva conclusione degli accordi al fine del miglior svolgimento delle manifestazioni sportive.
Bisogna chiamare le cose con il proprio nome, iniziando dal rinominare quello che astutamente ma erroneamente, dal punto di vista fiscale, viene chiamato “calciatore professionista” chiamandolo più attinentemente “calciatore dipendente” , cioè persona assunta da società partecipanti al campionato di serie A (società aderenti alla Lega Nazionale Professionisti) oppure “calciatore dipendente” assunto da società partecipanti ai campionati di serie B, C1 e C2 (società aderenti alla Lega Nazionale Professionisti di serie B, C1 e C2).
Naturale corollario di quanto sopra è che potrebbe correttamente esistere la figura del “calciatore professionista” intendendo atleta in possesso di determinati requisiti (età, gare disputate nella massima divisione, partecipazione a manifestazioni internazionali, ecc), il quale assuma tutti gli atteggiamenti, anche fiscali, di un qualsiasi professionista, ma anche, di conseguenza che i dipendenti non si comprano, non si ammortizzano, non generano plus o minus valenze (salva bilanci), e che le “rose” delle aziende (anche calcistiche) in crisi sono lavoratori in cassa integrazione.
Cambiamo le regole. Adeguiamole alla realtà.