Galliano Moreale

La gestione dei post-it

A volte succede che delle cose arrivino nella nostra vita e vi occupino degli spazi, anche importanti, trovandoci inaspettatamente arrendevoli ed impreparati. A volte alcuni di questi oggetti, dall’aspetto innocuo, muti, disponibili, dipendenti, apparentemente dipendenti da noi, possono cambiare la nostra esistenza e quella delle generazioni a venire: parlo della lavatrice, della televisione, del telefono cellulare, dei post-it. Ora è di tutta evidenza che il richiamo a questi ultimi mi identifica irrimediabilmente quale un loro massivo utilizzatore. Ciò, tuttavia, è vero solamente in parte. Ne faccio uso, lo confesso. Ne faccio uso sin da quando essi erano dei riquadri giallognoli che misuravano, come ora per altro, cm.7,6x cm.7,6 ed avevano allegramente soppiantato quei grezzi blocchi di carta bianca per piccoli appunti, grazie a quella striscia, di un centimetro di chimicamente leggera e ripetibile vischiosità sul retro, che li faceva presentare quali appartenenti ad un blocco, pur facilmente disponibili ad applicarsi a quasi qualunque superficie in modo discretamente stabile, come un transfert ma psicologico, in cancelleria, delle relazioni personali ufficiali, artificiali, apparentemente stabili eppur facilmente smontabili e riassemblabili, degli anni novanta. Ora, dopo quantant’anni, di post-it ve ne sono in commercio di tutte le forme e dimensioni e colori, ed anch’io ne ho: fucsia e verdi e arancioni, naturalmente gialli e nella dimensione preferibilmente tradizionale da 57,76 cm quadrati per appunti, appuntamenti, numeri di telefono, annotazioni leggere o vitali.
Il post-it che abbia raggiunto il proprio scopo, quello di ricordare l’acquisto del latte scremato o l’appuntamento dal barbiere, m’ingenera ancora una genuina soddisfazione nel momento in cui viene rimosso, “spost-it”, e gettato accartocciato nel cestino. Un impegno è stato assolto, una telefonata urgente è stata fatta, una questione risolta, un codice pin riportato sull’agenda: tolto l’appunto mentale, sciolto il vecchio nodo nel fazzoletto, che ora non si fa più, usandosi solo “serviettes en papier”, talchè i più giovani ignorano persino il significato dell’espressione ‘fare un nodo al fazzoletto’. Ma abbiamo, ecco i post-it, non si fanno i nodi ai post-it, essi sono volanti come pensieri, nuvole, sostitutivi di sms in assenza del telefono del destinatario, latori di minacce, contenitori golosi di segreti culinari o di misteriose formule matematiche. A volte si conservano nel taccuino sino al sospirato momento in cui si possono rimuovere perchè il prezioso, ma instabile, contenuto è stato stabilmente trasferito in altro strumento memorizzatore, cartaceo o elettronico, di maggiore affidabilità. Tutto questo andavo pensando avendo a mente anche la storia “un messaggio per Garcia” che Elbert Hubbard scrisse (c’è proprio la data precisa sul frontespizio) il 22 Febbraio 1899, settantacinque anni prima che venissero prodotti i primi post-it. Hubbard, nel suo breve lavoro, loda smodatamente colui il quale, ricevuto un incarico, lo porti a compimento, così, semplicemente, colle proprie forze, da solo, senza tentennamenti e/o rinvii, senza chiedere spiegazioni, senza apporre quel famigerato post-it che si trova nelle sequenze finali del film Blues Brothers, quel post-it nel quale tutti, tutti, almeno una volta nella vita ci siamo imbattuti: “torno tra 5 minuti”. Questo andavo pensando un sabato mattina, guardando sconsolato la scrivania di una mia impiegata. Ella è una ragazza giovane dall’aria sveglia, ha ventisette anni e quando lei nacque i post-it esistevano già in commercio: ella, a cagione delle sue mansioni, ne fa largo uso ed infatti, al suo posto di lavoro ne vedo una pila allegramente colorata: il primo post-it, quello verde, riporta tre nominativi associando a ciascuno una cifra, è piegato e sul retro c’è una scritta ed è attaccato ad uno arancione che riporta sul lato in alto una data, un appunto, un codice, un altro appunto ed un altro codice e sul retro è attaccato un post-it giallo più piccolo, piegato in due con tre password, che è attaccato ad uno fucsia grande, con dei codici ed un appunto e nel mezzo uno sempre fucsia, ma piccolo, con un codice fiscale (il mio) e un codice di conto, attaccato ad uno verde con un appunto che si riferisce ad una persona dipendente di una ditta nostra cliente e un mese, aprile, che è attaccato ad uno arancione con dei codici gestionali ed un appunto su una cosa da fare, che è attaccato ad uno verde con un nominativo ed un numero di cellulare che è attaccato ad uno giallo, di quelli tradizionali, che ha nel mezzo uno più piccolo fucsia nel quale a tre riferimenti sono abbinati tre numeri cerchiati, mentre quello giallo conserva una login ed una password e ricorda un impegno per le ore 14.30 “chiama Lara” ed è attaccato ad uno fucsia che ricorda di fare tre situazioni distinte e lanciare il comando “Minq 1000 14/59” il quale è attaccato ad uno bianco sul quale è attaccato uno piccolo fucsia, sovrastato da uno piccolo giallo, che però è doppio: il primo, sopra, riporta “366 bis” e di seguito “376 bis” il secondo, sotto, “296>310” e seconda riga “310>296” mentre quello fucsia ricorda le funzioni di un comando e quello bianco contiene comandi operativi tipo “generaz.invio-compilo> avanti> avanti> genera” attaccato ad uno verde ...ecc.
Conosco gente che normalmente ha il lato destro in alto dello schermo del computer pieno di post-it colorati, sovrapposti in strati disordinati. Poco a poco questi post-it conoscono una fase migratoria verso il lato sinistro dello schermo, il meno frequentato dall’occhio dell’addetto, perdendo durante tale transumanza anche parte della capacità collante, sinchè come foglie in autunno essi si staccano silenziosi e planano sul pavimento, in un ultimo tentativo di reclamare attenzione per il loro strategico contenuto. Una recente ricerca di una importante Università americana, finanziata dalla 3M proprietaria del marchio, afferma che il 97,42% dei post-it a terra finisce direttamente nel cestino. Ed è per ovviare a tanto, immagino, che progetti recenti come Project Looking Glass si sono spinti fino a creare dei post.it virtuali che eguagliano la versatilità dei post-it materiali.
Ma quando verranno creati dei tappeti virtuali sotto i quali non potremo più nascondere la pigrizia mentale del raccogliere la polvere reale che assedia le stanze del nostro cervello, come ce la caveremo? Dovrò fornire alla mia impiegata dei post.it virtuali da riempire con appunti sconclusionati, non datati, non riferibili ad un qualcosa ma meticolosamente conservati, o dovrei cercare di fornire ad ella adeguate motivazioni (mi balena, chissà perchè, un insolito binomio: bastone&carota).
Il post-it: così com’è piccolo il suo spazio per scriverci l’appunto, altrettanto breve deve essere la sua vita, affinchè l’esigenza che vi viene temporaneamente impressa sia subitaneamente risolta. Oppure devo pensare che ai giovani, la cui capacità di scrittura, lettura e sopportazione di una conversazione, raramente supera i 140 caratteri di un sms (supportati da un T9 e da un correttore ortografico, of course) o i 140 twoosh per i propri followers dell’account, si sia così tanto ristretta la capacità mnemonica, cognitiva, decisionale che essi hanno paura di liberarsi pure di quegli appunti scaduti, insulsi, privi ormai di senso cronologico e che quindi di nascosto, meticolosamente, raccolgano e custodiscano gelosamente in scatole di scarpe tutti quei post-it che cadono dal lato sinistro, in barba agli esiti della costosa ricerca della (sempre) prestigiosa Università americana?.