Galliano Moreale

Panem et circensens

Non sono un economista o un giornalista economico famoso. Non ancora almeno. Non credo agli economisti, non credo negli economisti, mentre i giornalisti economici sono una casta che si fregia, a mio dire, di un titolo usurpato, inesistente.

Parafrasando Montale sappiamo chi non siamo, ma così è ancora poco.

Pur privo di alcun pulpito debbo tuttavia smentire tutti, tutti, i guru politici e finanziari, imperversanti sui media, a costo della più totale ed accettabile impopolarità: questa “crisi” non avrà un termine. La Cga di Mestre può dire ciò che vuole (e chi sarà mai questo nuovo istituto, più potente dell’Istat?). Non finirà nella primavera del 2015, ne nell’estate del 2016 o nei primi mesi del 2017. Semplicemente non finirà. Perché? Perché si sono rotti tutti gli indicatori macroeconomici, perché il sistema implode.

Non sono un economista, ma sono un osservatore. Ho nozioni di economia da studio scolastico e micro applicazione quotidiana. La voce che mi parla dal video, recita come un mantra “spread, petrolio prezzo dollaro/barile, cambio €/$”. Per dei mesi, che sommati a gruppi di dodici diconsi anni, ho fatto colazione (doccia/caffè/Tg5/Tg3) con uno stato d’animo ora passivo, ora teso, ora preoccupato dall’andamento congiunturale, intrecciato, sinusoidale di questi tre indici economico/finanziari i quali avrebbero in un qualche modo influenzato lo svolgimento, finanche intimo della mia giornata.

Essi indici sono tutti falsi. Ne ho la prova.

Solo chi vuole vedere vede e può accedere alla conoscenza.

Ho sempre avuto serie perplessità sullo sbarco dell’uomo sulla Luna, che sarebbe avvenuto in una sera dal clima mite nel Luglio 1969 giorno 20 in USA o 21 in Italy ore 22.56 oltreoceano o 5.56 locali. Troppo tardi per un bimbo di 11 anni. Quei giorni guardavo con ingenui, ma freschi e prestanti occhi, per ore e ore, tempi lunghissimi, senza battere ciglio, scrutando la superficie selenea serenamente splendente. Volevo scorgere il passarvi sopra del modulo Columbia alla cui guida stava il Comandante Collins. Pensavo di poterlo vedere nitidamente stagliarsi in tutta quella luce, come una mosca contro la lampadina. “Non lo vedo” ripetevo tra me e me, stingendo ancor più gli occhi. Quella sera, ospite degli zii a Zugliano, andai a dormire prima che Tito Stagno annunciasse un allunaggio non sincrono con Houston, anticipando quello che divenne poi, chissaperchè, un tormentone dalla missione 13 in poi con “Houston, we've had a problem here", “Houston abbiamo avuto un problema”.

Le missioni comunque si susseguirono, ad Apollo 11 succedettero altre Apollo sino la 17 e la filastrocca “Apelle figlio di Apollo fece una palla di pelle di pollo e tutti i pesci vennero a galla per vedere quella palla fatta da Apelle, figlio di Apollo” mi fece pensare a dei gonzi che abboccano. Tornarono sulla Terra, nel centro spaziale, nelle trepidanti mani di iperspecializzati scienziati e uomini dei più segreti servizi, casse ricolme di preziose pietre lunari e carotaggi, innumerevoli carotaggi, materiale unico il quale una volta esaminato avrebbe rivelato l’esatta origine della vita sul nostro pianeta, volontà divina o casualità cosmica.
Sono passati vari decenni e di quelle analisi non si è più saputo nulla ma, peggio, nessuno ne ha chiesto riscontro. Nessuno.

Controprova semplice. Nel 2002, o giù di lì, il giornale locale riportava un lancio di agenzia “…in Messico è stato rinvenuto un meteorite di origine lunare il quale da esami di laboratorio dimostrerebbe l’esistenza di acqua sul nostro satellite…”. Ma ci saremmo stati, avremmo prelevato campioni e carotaggi ed invece grazie ad un frammento casualmente precipitato abbiamo potuto capire che sulla Luna c’è acqua?
O non ci siamo mai stati?

Oggi, il presidio del Capitalismo per definizione, il Presidente degli Stati Uniti d’America ha concluso un fondamentale accordo economico con quello che una volta si chiamava Segretario del Partito e oggi è invece il Presidente dello Stato Comunista per definizione, dopo il dissolvimento della Unione Sovietica, la Cina.

E’ decisamente poco elegante auto-citarsi ma, in tempi non sospetti scrissi che la salvezza del capitalismo nella sua fase moribonda sarebbe stato il comunismo avanzato.

Dunque, come dicevo all’inizio, ogni mattina il test: spread 315, cambio $/€ 1,42 greggio a 91 $/barile, beh oggi qualche lieve miglioramento, almeno nelle prospet-tive (ah senza dimenticare la Borsa:” Tokjo – 0,2, Francoforte + 0,1 Milano la peggiore “bruciati” 2,9 miliardi di capitalizzazione”. Bruciati? Ma dove?). Poi un giorno ad agosto del 2008 il prezzo del greggio schizzò a € 146 $/barile. Sobbalzato un istante sulla sedia mi attendo un pressante, contrito, pesante intervento del nostro Ministro delle Finanze il quale, naturalmente, ci dettaglierà i motivi della evidente stangata denominata “bolletta energetica”: inverno in vista, aumento del prezzo della benzina alla pompa e correlati: energia elettrica, frutta e verdura (che ci azzeccano? ma è prassi), tabacchi e marche da bollo. Invece: nulla. La più grave crisi finanziaria legata al prezzo del petrolio, energia dalla quale dipendiamo quasi totalmente, e la reazione qual è? Nulla. Per diversi mesi, a mazzette di dodici rubricati anni, ci siamo sentiti rimproverare per il dissesto delle nostre finanze pubbliche. Eppure fu il premio Nobel per l’economia Franco Modigliani (scomparso) a mostrare come, usando un metodo contabile che tenesse correttamente conto della crescita dei prezzi, il risanamento dei conti pubblici italiani non fosse quell’impresa impossibile che molti ritenevano e come esso richiedesse innanzi tutto l’abbattimento dell’inflazione. Inoltre Modigliani sostenne che l’effettiva situazione patrimoniale dello Stato italiano non era correttamente rappresentata, se non si consideravano, oltre alle poste passive (il debito pubblico), quelle attive (la ricchezza dello Stato: dalle imprese pubbliche ai beni del demanio). Ne deduceva che il problema del debito era impropriamente drammatizzato, anche se ammetteva che quelle poste attive erano ardue da valutare e non meno ardue da liquidare.
Ora che l’inflazione è scomparsa, un incubo per i miei anni giovanili quando essa raggiunse anche la doppia cifra e tutti temevano un evolversi simile alla Repubblica di Weimar, la si rimpiange perché la sua assenza comporta la deflazione sorellastra economicamente assai più disdicevole! E Modigliani che puntava tutto sulla contenimento dell’inflazione per ridurre il debito pubblico che in un suo articolo, che conservo, definisce “inesistente e sovrastimato”
Quindi?
Ora che lo spread è scomparso dai TG di qualsivoglia testata, essendo ai minimi storici, che quando stava a quota 500 e dintorni il giornalista finanziario di turno ci ammoniva di quanti miliardi di euro & sangue ci sarebbe costata questa situazione. Che evidentemente ci eravamo meritati, collettivamente. Di riflesso, ora che il valore è di poco superiore a 100 mi sarei aspettato sorrisi di compiacimento e pacche sulle spalle, sentite espressioni di congratulazioni e sensibili riduzioni di tasse e tariffe.
Invece?
Il petrolio è passato in un anno da 112 a 77 dollari/barile come dire meno 31,25% che depurato della fluttuazione $/€ significa meno 25,20%. Scrive infatti la rivista on-line Economia e Finanza “Le quotazioni dell'oro nero sono calate del 25% da inizio anno tornando ai livelli del 2009, quando il prezzo alla pompa era pari al 29% in meno di quello odierno. Volano i profitti dei raffinatori e crescono le accise: il costo industriale pesa solo per il 40% di quello finale”. Ventinove per cento in meno? Sarebbe come dire 60, 65 centesimi in meno al litro.
Invece?
La soluzione non esiste, se per soluzione s’intende una modifica globale e miglio-rativa della condizione sociale di tutti. Questa del precariato costante, dei flussi migratori, della inetta, inevitabile, inquietante, globalizzazione coatta della disoccupazione sine die, delle connesse instabilità emotive personali e sociali, con tumulti e sconquassi correlati, sarà la situazione nella quale vivremo il nostro prossimo ineluttabile futuro, credendo che sia una crisi che passerà, senza capire che invece è ormai uno stato patologico, che non riguarda solo la nostra nazione ma tutte le civiltà che si autoreferenziano “avanzate” e che beffardamente sarà più benevola verso quelli che una volta, generosamente, venivano chiamati Paesi in via di sviluppo, ai quali il nostro moribondo sistema si aggrapperà come un parassita violento per succhiare linfa vitale. Sino alla ribellione o sconvolgimento finale.
Ma sono certo che, fino ad allora, avremo “panem et circenses ad abundantiam”.